Dolcissimo Gesù, vorrei riordinare le idee prima che il tempo le cancelli, vorrei col Tuo aiuto, ricordare ogni Tua pa¬rola, ricostruire il disegno che, per Tua bontà, mi hai fatto fin dal principio intravedere, vorrei raccontare a tutti la mia dolo¬rosissima ma meravigliosa avventura, che non è ancora finita, ma che si snoda e si dipana, come un filo all’apparenza ingar¬bugliato, ma che ubbidisce al tocco della Tua ss.ma mano.

All’inizio della sconcertante notizia: Nicola ha un tumore, anzi no, prima ancora, perché Tu, mio Gesù, nel Tuo amore previdente prepari l’animo all’urto del dolore perché non ven¬ga sommersa dal medesimo, mi dici: «Se tu potessi vedere il baratro che ti circonda, saresti in¬vasa dal terrore, solo lo posso farti attraversare quel cunicolo buio e portarti verso la luce, se avrai tanta fede quanto un gra¬nello di senape».

Chiedo al mio Gesù di prendermi per mano, di tapparmi gli occhi, perché io non veda quel baratro e non venga attratta da esso, ma senta solo la stretta della Sua mano che mi guida a salvezza. Ed Egli ha ascoltato la mia supplica.

L’impatto con una realtà così atroce è stato, direi, da in¬cosciente, da sonnambula come di chi si appresti ad attraver¬sare il fuoco, ma sa già di arrivare illeso all’altra sponda.

Avevo una sola preoccupazione, restare salda nella fede.

Gesù mi aveva avvertita che tante altre anime si sarebbero aggrappate a me, alla mia fede, ma questo era stato un pò di tempo prima, e, solo dopo, capii a che cosa alludesse.

Una voce nell’intimo mi aveva reso palese come l’inferno si fosse scatenato contro di me, ed al mio naturale turbamento, aveva fatto eco un’altra voce: «Ma tutto il Cielo è con te», e San Michele: «Chi più potente di Dio se non Dio stesso?».

La lotta si presentava terribile, ma mi sentivo forte nella mia fede. Gesù mi richiama:

«Fa che la tua fede sia umile, perché ti esporresti troppo agli attacchi del nemico».

Le notizie sconvolgenti si susseguivano una dopo l’altra, così le decisioni da prendere, l’urgenza dell’operazione, il tener nascosto sia a Nicola che ad Antonella la verità, l’appurare, nel più breve tempo possibile, se c’era metastasi; tutto, però, si svolgeva come se una mano invisibile guidasse ogni minimo atto della tragedia, così la tempestività dell’intervento del chirurgo e tante altre circostanze favorevoli.

Il mio grido di dolore e l’invocazione di aiuto lanciati attraverso anime amiche sono stati raccolti e propagati da tante altre anime generose; potrei affermare che in molte regioni d’Italia si pregava per Nicola. Era come un’eco che si propagava sempre più lontano.

La comunione dei Santi era in atto, con la potenza della sua intercessione; l’aiuto di anime più vicine a Dio mi sosteneva e mi confortava: Maria Pia da Torino, Bianca da Firenze, don Eugenio con le sue Messe continue e, soprattutto don Gernio da Pescara:

«Signora, sarà la Madonna a guidare la mano del chirurgo, tutto andrà bene, abbia fede».

Ma chi sosteneva la mia fede, chi mi consolava, chi mi era realmente vicino, era Gesù.

Le mie notti insonni erano di un tormento indicibile, perché il mio spirito abbracciava una verità ancora più vasta di quella contingente, già tanto dolorosa.

Il giardino devastato della mia casa, a cui Gesù aveva già accennato, mi appariva in tutta la sua desolante crudezza. La mia umanità, ferita a morte, si rivelava a me stessa nella sua interezza, causandomi momenti di indicibile sconforto.

Chi aveva ucciso in me la capacità di amare anche con la mia carne, col pulsare del mio sangue come tutti gli altri uomini?

Chi mi aveva strappato dal cuore, ad una ad una le mie creature, lacerando le fibre più intime del mio essere? Il nemico, certo il nemico!

La mia angoscia era al colmo, mi sentivo annientata sotto un peso più grande di me, amavo i miei figli con un amore spirituale che aveva raggiunto alte vette di purificazione e di offerta, ma la mia carne taceva; ero forse un mostro?

Ma il mio Gesù, il mio Gesù di sempre, mi era ancora più intimamente vicino:

«Non temere, non sei un mostro, anche lo, come te, sono stato ferito nella carne, anche a me hanno strappato ad uno ad uno i miei figli; vedi, anche la mia umanità è ferita come la tua, ecco perché sei vittima come Me».

Il mio Gesù, non contento di togliermi dall’angoscia, mi paragonava a Lui stesso, accomunava la mia sofferenza alla Sua, anch’io vittima con i miei bambini, vittima col mio Nicola che si apprestava all’offerta sul tavolo operatorio perché fosse liberato dal male.

«Su quel tavolo operatorio non c’è solo lui, Nicola, ma tut¬ti i tuoi figli, ma tutti voi; il chirurgo è solo uno strumento, c’è il Padre che ricrea, il Figlio che riscatta, lo Spirito che opera, e Maria che consola, protegge, intercede».

Gesù non mi lascia più; già da tempo mi preannunciava la sofferenza necessaria per salvare anime che mi erano partico¬larmente care, e io Gli dicevo che ce l’avrei fatta solo se Lui mi fosse stato vicino.

Gesù: «Pensi che non potrei sostenere il mio granellino di polvere?».

E poi: «Non dimenticare che non sono soltanto mi¬sericordioso, sono anche il Potente».


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